La psico-pandemia da Covid-19 ha messo a dura prova la salute mentale della popolazione: ansia, attacchi di panico, depressione, disturbi stress-correlati, disturbi alimentari sono solo alcune delle problematiche cliniche che sono emerse (o peggiorate) a causa della situazione vissuta nell’ultimo anno. Ma la domanda può sorgere spontanea: e gli altri?
E’ possibile infatti aver sperimentato del disagio in termini psicologici che spesso può essere stato valutato, da noi stessi o da chi ci circonda, come non meritevole di attenzione o cura perchè definito “non grave”. Per questo motivo si potrebbe aver vissuto la sensazione che “c’è qualcosa che non va”pur continuando ad apparire “sani” agli occhi del mondo. Tuttavia è bene ricordare che, anche e soprattutto in termini psicologici, tra la salute e la malattia vi sono diverse sfumature e scale di grigi: occuparsi solo del nero può essere davvero la scelta vincente?
Per descrivere la sensazione provata da una grossa fetta della popolazione mondiale in questo periodo di pandemia lo psicologo dell’università della Pensilvania Adam Grant ha coniato il termine “languishing”. Questa parola tradotta in italiano significa “languire” ed è definita come “un senso di stagnazione e di vuoto”.
La sensazione è di confondere i giorni, come se si stesse guardando la propria vita attraverso un finestrino appannato. Ritrovarsi a languire, secondo lo studioso, impatta negativamente sulla motivazione e la capacità di concentrarci. Viene a mancare l’entusiasmo, anche di fronte alla possibilità che l’emergenza rientri: le giornate vengono vissute in modo monotono e routinario, complice la mancanza di nuovi stimoli.
Immaginiamo il “languishing” come il polo di un continuum; l’altro polo è rappresentato dal “flourishing”, ovvero uno stato psicologico positivo definito dallo psicologo sociale Corey Keyes come una condizione in cui la persona è in grado di esprimere le proprie potenzialità e vivere pienamente la propria vita. Sotto questo punto di vista possiamo immaginare il nostro benessere psicologico come una biglia che si muove su un’asse di legno: la sua posizione non resta stabile nel tempo, ma può passare da un polo all’altro del nostro continuum. Per questo motivo è importante accogliere e prendersi cura di uno stato di malessere, anche e se ritenuto “non grave” non grave dai più: il rischio è quello di continuare a far scivolare la biglia verso il polo del malessere fino al punto in cui le condizioni di salute vengono compromesse in modo più complesso.
In questi mesi sono aumentate le persone che si sono rivolte privatamente agli psicologi, ma sono ancora moltissimi coloro che non possono farlo per mancanza di mezzi o per paura dello stigma legato alla salute mentale. Inoltre, sfortunatamente la rete psicologica pubblica non sempre è in grado di rispondere, tempestivamente o meno, alle esigenze della popolazione: questo impedisce la messa in campo di strategie comunitarie di prevenzione e promozione delle risorse psicologiche, facendoci trovare spaesati quando la biglia si sposta dal lato negativo del continuum.
Che fare, dunque, se ci scopriamo a “languire”?
- Riconosciamolo: il languishing non è depressione, ma è meritevole della nostra attenzione e cura. Decidete, quindi, di fare qualcosa per muovere i primi passi per uscire da questa situazione.
- Investite su di voi: focalizzate la vostra attenzione verso un progetto, verso un qualcosa che vi faccia sentire assorbiti, ma in modo positivo. Dedicatevi del tempo che vi possa far sentire utili, che vi permetta di canalizzare energie, che vi faccia emozionare.
- Chiedete aiuto se “tutto è troppo”: se non riuscite a sentirvi motivati, se non sapete da dove cominciare per rimettervi in carreggiata, se i pensieri sono troppi e troppo ingarbugliati, se la fatica che sentite è eccessiva considerate l’idea di rivolgervi ad un professionista di vostra scelta. Un percorso psicologico può essere un utile supporto per aiutarvi a muovervi verso una condizione in cui possiate “rifiorire”.